dal volume:
"Attualità dell’azione Politica per il Mezzogiorno
Guido Cortese"
a cura di Amelia Cortese Ardias - Società Edidrice Napoletana
- Napoli, maggio 1986
GIORGIO NAPOLITANO
Io chiedo scusa per la frettolosità di questa mia partecipazione.
Non c’è ragione per cui vi annoio a spiegare i motivi per
cui non ho potuto partecipare, non posso partecipare più assiduamente,
ma sentivo il vivo desiderio di dare un brevissimo contributo.
Dico subito che non intendo cedere ad impulsi evocativi che, pure, sarebbero
spiegabili per un rapporto di collaborazione amichevole che si stabilì
tra me e Guido CORTESE quando rappresentavamo ambedue Napoli in Parlamento.
In effetti c’è stata una conoscenza di Guido CORTESE al
di là dello scarto generazionale, c’è stata una
stima per Guido CORTESE – in primo luogo sul piano umano –
che hanno rappresentato fatti autentici e che sono ancora molto vive
dentro di me.
Quindi, non per gusto rievocativo, ma per svolgere, poi, qualche considerazione
politica, io richiamerò, soltanto un episodio: L’episodio,
già da parecchi richiamato, del famoso emendamento alla legge
di proroga della Cassa peri il Mezzogiorno del 1957, emendamento che
sancì l’obbligo per gli Enti e le Aziende a partecipazione
statale a destinare al Mezzogiorno il 40% del totale dei oro investimenti.
Credo di non sbagliare dicendo che eravamo stati entrambi eletti in
Parlamento per la prima volta nel 1953; e nel 1957 mi toccò fare
il relatore di minoranza a quella legge di proroga della Cassa (fu,
diciamo, il mio primo compito impegnativo, in violazione dell’aurea
regola di Enrico DE NICOLA, secondo il quale un deputato alla prima
legislatura poteva al massimo fare un intervento su un capitolo di Bilancio).
Quindi, essendomi stata affidata quella relazione di minoranza, mi occupai
molto intensamente di quella legge. Non ho avuto il tempo di fare riscontri,
ma credo di non sbagliare dicendo che alla fine di quel dibattito- dopo
che erano stati accolti una serie di emendamenti - il Partito comunista
si astenne su quella legge. Eppure, eravamo negli anni ’50, eravamo
appena usciti dal peggior periodo della guerra fredda, ma eravamo pur
sempre negli anni ’50; quindi, l’opposizione del Partito
comunista non era una cosa così “distruttiva” neppure
allora, se arrivammo ad astenerci su quella legge pur essendo stati
fortemente contrari in termini di principio e di linea alla istituzione
della Cassa per il Mezzogiorno. Si arrivò in questo contesto
al voto dell’emendamento di cui qui si è parlato.
Sentito adesso il ricordo che ne faceva l’amico Del VECCHIO, e
debbo per la verità precisare che il Partito comunista non votò
a favore dell’emendamento CORTESE, il Partito comunista presentò
un suo emendamento, a mia firma, del tutto identico a quello dell’amico
e collega Guido CORTESE; i due emendamenti furono fusi in una unica
votazione, ed io sono profondamente lieto del fatto che l’emendamento
abbia avuto il nome di Guido CORTESE, tuttavia mi sento pienamente corresponsabile
di quella scelta.
Debbo anche dire che – sempre se la memoria non mi tradisce –
l’idea di quell’emendamento scaturì da una riunione
che si fece alla Camera di Commercio tra i parlamentari napoletani ed
i rappresentanti sindacali.
In quell’epoca erano abbastanza frequenti riunioni di tutti i
parlamentari napoletani per un confronto con le forze sindacali e con
le forze economiche. Allora non era di moda la polemica contro la “democrazia
conoscitiva”, e si cercava raccordi su problemi napoletani tra
parlamentari di tutti i Partiti.
Ci fu, diciamo, un’epoca nemmeno tanto breve in cui i supremi
auspici di questi incontri erano Enrico DE NICOLA e Giovanni PORZIO
attorno ai quali ci raccoglievamo.
Potè sembrare, ed ancora ad oggi a distanza di tanti anni può
sembrare strano che quella posizione fosse stata sostenuta da un liberale
e da un comunista o da liberali e comunisti; potè sembrare strano,
perché in sostanza si affermava un vincolo incisivo per l’intervento
pubblico con una norma discutibile sotto il profilo della economicità,
della astratta o potenziale economicità dell’intervento
pubblico.
Di quell’obbligo a destinare, comunque, al Mezzogiorno il 40%
del totale degli investimenti delle partecipazioni statali, di quell’emendamento
Guido CORTESE diede una motivazione assolutamente valida. Alla base,
di quell’emendamento, di quella proposta (e, Guido Cortese un
po’ maliziosamente, in anni successivi, sottolineò che
ad essa era stato contrario il Gruppo democristiano, anche se passò
con il concorso anche di una parte dei parlamentari democristiani) c’era
una motivata diffidenza nei confronti dei gruppi dirigenti delle partecipazioni
statali, c’era una scarsa fiducia nella loro sensibilità
meridionalista e, quindi, nella possibilità che autonomamente
i gruppi dirigenti delle partecipazioni statali indirizzassero verso
il Mezzogiorno una quota sufficiente degli investimenti.
E, voi, forse, ricorderete che si era prima sostenuto che al Mezzogiorno
( e su ciò erano tutti d‘accordo) andasse il 60% dei nuovi
investimenti, ma apparve chiaramente come questa norma potesse risultare
del tutto insoddisfacente ed addirittura beffarda.
Potè sembrare strana la convergenza tra liberali e comunisti.
Credo che potevano sembrare strane anche altre cose. Poteva sembrare
strano l’impegno di un liberale come Guido CORTESE da deputato
di Napoli e da Ministro dell’Industria su tre ordini di problemi.
I problemi dell’industria di Stato, nel senso di una forte affermazione
del ruolo dell’industria di Stato. I problemi dell’industrializazzione
del Mezzogiorno e di una industrializzazione che non fosse affidata
alla spontaneità ed ai tempi lunghi, di cui, come ha detto COMPASSO
questa mattina, parlava Luigi EINAUDI. Infine, i problemi della programmazione,
di una programmazione volta soprattutto a fini di sviluppo del Mezzogiorno.
Però, è un dato di fatto che l’impegno di Guido
CORTESE fu molto netto in tutte e tre queste direzioni.
Io ho trovato francamente interessante la relazione di COMPASSO questa
mattina, l’ho trovata interessante per la limpidezza ed il coraggio
con cui ha sottolineato la estraneità delle posizioni di Guido
CORTESE ad uno schema liberistico.
Ed io penso che questa sensibilità antiliberistica del liberale
Guido CORTESE fosse, poi, motivata da una riflessione storica sulle
vicende del Mezzogiorno, fosse sorretta appunto da una vocazione meridionalistica,
da un impegno meridionalista. La storia del Mezzogiorno parlava troppo
chiaro per potersi attendere come effetto naturale dello sviluppo economico
nazionale, guidato da logiche liberistiche, il progresso del Mezzogiorno,
l’accorciamento delle distanze, il superamento degli squilibri
tra nord e sud. Di ciò era molto consapevole Guido CORTESE: che
proprio perché era meridionalista non era liberista.
Un liberale non liberista.
Oggi, naturalmente, sono mutate molte cose, ma io proprio riprendendo
quei tre filoni dell’impegno di Guido CORTESE vorrei dire:
1°) - siamo dinanzi ad una crisi molto profonda dell’industria
pubblica e, quindi, non sono possibili posizioni acritiche di valorizzazione
dell’industria pubblica o di sollecitazione ad una sua ulteriore
estensione.
Bisogna andare ad un rinnovamento radicale del sistema delle partecipazioni
statali, bisogna procedere con molta sobrietà e con molta selettività
nello sviluppo degli investimenti e delle iniziative degli Enti a partecipazione
statale. Però sarebbe molto grave che noi, qui a Napoli e nel
Mezzogiorno, da ciò traessimo la sommaria conseguenza che si
può tranquillamente fare a meno di un impegno delle partecipazioni
statali, e magari facessimo i primi della classe nello scagliare pietre
contro il sistema della partecipazione statale, e quasi nel tendere
a sbarazzarcene. Noi riteniamo che il sistema delle partecipazioni statali
abbia delle responsabilità verso Napoli ed il Mezzogiorno –
responsabilità che vanno vissute in termini molto diversi rispetto
ad esperienze ed interventi del passato- e dobbiamo sottolinearlo ma
stando attenti a non contribuire, sia pure involontariamente, a che
il sistema della partecipazioni statali si sottragga a queste responsabilità.
2°) – Industrializzazione del Mezzogiorno.
Anche qui c’è una evidente necessità di superare
concezioni tradizionali, perché la stessa nozione di industria
non può essere quella di venti anni fa. Sappiamo quali trasformazioni
sono in atto all’interno del sistema industriale, sappiamo come
siano diventati fluidi e mobili i confini tra attività produttive
industriali in senso stretto ed altre attività – attività
di servizio soprattutto. Si sono insomma istituite nuove connessioni
da tenere fortemente presenti specie per quello che riguarda l’occupazione.
Bisogna puntare su possibilità e forme nuove di occupazione:
sarebbe, io credo, molto pericoloso indulgere all’idea secondo
cui ormai quello che conta è guardare alla evoluzione dei servizi
delle attività terziarie, e dunque si può anche lasciare
andare verso esiti finali infausti quello che resta di certe sopravvivenze
industriali, a Napoli e in Campania, o accontentarsi di quel tanto di
nuovo (importante, ma limitato), di innovativo, di dinamico che è
cresciuto nel panorama industriale di Napoli e della Campania. La verità
è che noi siamo in presenza, in alcune zone del mezzogiorno,
di processi di de-industrializazzione. E siamo in presenza di processi,
in parte fatali, di riduzione dell’occupazione nell’industria,
non compensati da processi di crescita adeguati della occupazione nei
servizi. Non si può perciò giocare, un po’ fatuamente,
banalmente, con la nozione di società post-industriale; bisogna
sapere che una crescita di servizi alla produzione presuppone che ci
sia uno sviluppo in senso nuovo ed innovativo delle produzioni industriali,
che ci sia cioè un forte impegno di reindustrializzazione secondo
direttrici ben precise, qui a Napoli, in Campania ed in altre zone del
Mezzogiorno. Infine:
3°) – programmazione.
E’ passata molta acqua sotto i ponti, abbiamo tutti potuto riflettere
anche sul concetto di programmazione. Ho ritrovato qualche spunto polemico
– per la verità perfino più nei confronti dei socialisti
che dei comunisti- in scritti di Guido CORTESE dell’epoca del
centro sinistra o della preparazione del Centro-sinista: programmazione
contro pianificazione rigida, burocratica, statalistica e così
via. E c’erano senza dubbio delle ingenuità e delle rigidità
nel discorso che noi facevamo allora sulla programmazione. Ma abbiamo
avuto modo di riflettere. Bisogna tener conto, certamente, dei limiti
e degli inconvenienti e degli esiti deludenti di diversi tentativi di
programmazione che ci sono stati nel nostro Paese. Ma non si può
più partire di qui per giungere a liquidare ogni idea di programmazione
ed addirittura ogni concetto di politica industriale.
Noi sappiamo che c’è una parte della cultura economica
- forse più fuori dell’Italia che qui – che mette
in discussione lo stesso concetto di politica industriale. E’
questo un tema , per esempio, molto discusso negli Stati Uniti. C’è
chi nega l’esigenza di una politica industriale almeno negli Stati
Uniti; ma c’è chi contesta questa tesi anche negli Stati
Uniti. Io ritengo che sarebbe assai grave che si indulgesse a posizioni
di questo genere. Mi ha fatto molto piacere che l’amico Giorgio
LA MALFA , seguendo una tradizione molto alta – quella del padre
– abbia riproposto con grande forza il tema della programmazione
al Congresso del Partito Repubblicano, perché credo che proprio
dal punto di vista del Mezzogiorno sarebbe grave seguire una linea liquidatoria
nei confronti di una politica di programmazione.
Programmazione ed intervento straordinario nel Mezzogiorno; non vorrei
fare delle battute propagandistiche; vorrei tenermi un tantino distante
dagli assilli ed anche dalle miserie della nostra vita politica quotidiana
(ed io considero una autentica miseria politica il fatto che a distanza
di anni dalla scadenza della Legge 183 il Governo non riesca adesso
a partorire un progetto di legge per la riforma dell’intervento
straordinario nel Mezzogiorno mentre si avvicina l’ennesima scadenza
di proroga della Cassa al 31 luglio; si comincerà ora a discutere
- è vero – in Commissione, in Parlamento , ma si potrà
discutere solo sulla base di proposte di iniziativa parlamentare tra
le quali la nostra, in assenza di un progetto governativo. Ma lasciamo
stare).
Voglio piuttosto ricordare il dibattito parlamentare del 1961 sul Mezzogiorno.
Ci fu una mozione del Partito Liberale svolta da Guido CORTESE, ci fu
una mozione comunista di cui ero io primo firmatario, ci fu una mozione
socialista di cui era primo firmatario Antonio GIOLITTI. Fu un dibattito
elevato. Anzi, io credo che quel febbraio del ’61 sia stato uno
dei dibattiti più alti sul Mezzogiorno che si siano svolti in
Parlamento. E il tema centrale fu questo: l’intervento straordinario
deve o no essere riassorbito in una politica di programmazione economica
nazionale? ( tesi sostenuta con molta forza soprattutto da Antonio GIOLITTI).
Ebbene che cosa è accaduto da allora cari amici?
E’ accaduto che dopo quel dibattito la programmazione ha tirato
le cuoia, è fallita, non è stata rilanciata alcuna politica
di programmazione, e nello stesso tempo si è andati ad una più
o meno lenta degenerazione, vanificazione e dispersione della politica
dell’intervento straordinario nel Mezzogiorno.
Concludo con una notazione che mi sarà consentita perché,
ormai posso, come altri, parlare di vicende di parecchi decenni.
Qualche volta l’Italia – a ripensarci – appare un
Paese singolare, in cui si sono intrecciate in questi decenni drastiche
contrapposizioni ideologiche, polemiche nominalistiche e strumentali,
momenti di autentico e fruttuoso confronto tra indirizzi politici diversi
ed opposti, e convergenze straordinariamente larghe tra le forze politiche
su alcune esigenze e scelte concrete, tra le quali determinate scelte
di politica meridionalistica come quelle che abbiamo ricordato nel nome
di Guido CORTESE e di cui Guido Cortese fu partecipe e promotore.
Ora, ecco, io ritengo che pur essendoci stato un sostanziale temperamento
di originarie posizioni e contrapposizioni ideologiche, negli ultimi
anni noi abbiamo subito o rischiato il danno di qualche u nuova ondata
o moda ideologica: per esempio una moda ideologica neoliberistica. E
mi domando – senza volere ovviamente dare una risposta che sarebbe
del tutto scorretta – come vi avrebbe reagito Guido CORTESE.
Abbiamo avuto – sempre per suggestione ideologica largamente importata
dall’esterno, dalla Gran Bretagna della Sig.ra THATCHER, dagli
Stati Uniti del Presidente REAGAN – una politica abbastanza strumentale
e mistificatoria sulla “deregulation”. Senza dubbio c’è
bisogno di smantellare tante bardature burocratiche e di combattere
tante degenerazioni burocratiche, ma se poi, “deregulation”
deve significare polemica liquidatoria nei confronti di ogni programmazione
e politica industriale, di ogni serio intervento pubblico, ebbene, allora
il rischio che si corre proprio dal punto di vista del Mezzogiorno diventa
assai grave.
Sappiamo – non voglio edulcorare nulla – sappiamo che, ci
sono non solo contrasti reali di indirizzo, ma ci sono anche contrasti
reali sul piano sociale, perché in una fase di crisi e di trasformazione
dell’economia e degli assetti sociali, in una fase di gravissima
crisi finanziaria , dinanzi alla necessità di scelte anche molto
severe per il rilancio del processo di accumulazione, per evitare il
rischio di un declino tecnologico e produttivo del nostro Paese nel
quadro di una accentuata competizione internazionale, il problema del
come distribuire i pesi ed i sacrifici è un problema che dà
luogo a dei contrasti estremamente pesanti e gravi tra classi, gruppi
sociali e corporazioni.
E di qui vengono molto dei motivi di reale dissidio ed anche scontro
sul piano politico. Tuttavia io mi augurerei che per quello che riguarda
il Mezzogiorno e le scelte più che mai necessarie ed urgenti
nell’interesse del Mezzogiorno si riuscisse a dar luogo ad un
confronto autentico, non viziato da nominalismi ed ideologismi, ad un
confronto autentico ed aperto tra tutte le forze politiche democratiche
come si riuscì a farlo più di una volta negli anni di
Guido CORTESE.